GILA, Insegue Toni. E può batterlo
Per ora vince Toni 7-5, ma siamo a metà settembre e i confronti maturano a gioco lungo, sono numeri che entrano nei libri e nei sogni (e chissà dove sono stampati meglio). A maggio Gilardino avrà superato Lucagol, emigrato in Germania per ottenere gloria e accrediti bancari aderenti all’accresciuta fama? La media è quella giusta, nel 2005 Toni aveva segnato 7 reti in cinque partite (compresa la tripletta in Nazionale alla Bielorussia), Gilardino è a 5, ma i gol hanno un peso specifico superiore e il giocatore ha una voglia di rivincita almeno decuplicata dopo il parcheggio strapagato nella soffitta di Milanello: raddoppio nei preliminari contro lo Slavia, pareggio contro la Juve, prima rete in Nazionale in Austria con il Lippi-bis, doppietta in Champions a Lione. Toni aveva segnato su rigore alla Samp, poi a Messina e due volte contro l’Udinese (con l’intermezzo della tripletta azzurra in Bielorussia). Il confronto che tiene conto dello spessore degli avversari è nettamente a favore dell’attuale centravanti viola, anche se Toni alla fine del primo anno arrivò a quota 31. Ma Gila dalla sua ha una motivazione in più.
GILARDINO è stato pagato 15 milioni, è il giocatore più caro della gestione Della Valle insieme a Bojinov; ha deciso di rinunciare al suo spettacolare futuro in panchina spalmandosi uno stipendio da 2,6 milioni netti all’anno in più stagioni, salutando il Milan e aumentando indirettamente lo spessore della sua crisi senza centravanti. I numeri viola raccontano l’ambientazione ideale e il confronto con il primo anno rossonero, dopo i 24 milioni cash versati dal Milan al Parma, parla da solo: Gilardino restò a secco per dieci giornate, riuscendo a segnare in Champions solo il primo novembre contro l’Anderlecht. Un 4-1 con una firma marginale, mentre il 2-2 di Lione è figlio unico del violinista, che in Francia ha rinunciato all’esportazione del gesto di trionfo musicale. Se con la maglia del Milan era andata peggio nelle partite internazionali (4 reti in 28 presenze) Gila in viola è già a quota 3 in 3 partite.
ALBERTO tiene a se stesso e soprattutto alla squadra, per questo ha evitato di commentare a caldo le prodezze individuali contro il Lione: troppo grande la rabbia per la rete accordata al Lione mentre Zauri era a terra, parlare di se stesso sarebbe stato un segno di scarso rispetto nei confronti dei compagni. Perché da quando è arrivato a Firenze — consapevole delle difficoltà passate nella periferia del Milan — Gilardino si è convinto che senza l’aiuto dei compagni non si va da nessuna parte; gli assist di Zauri e Mutu dimostrano che la sintonia c’è, poi Gila ci ha messo del suo con due colpi da killer, ma questo è un altro discorso. Il recupero fisico e soprattutto mentale del giocatore è passato da Prandelli, che ha un ottimo rapporto con la famiglia del giocatore. Proprio il babbo di Gilardino ha sottolineato recentemente il valore del nuovo clima trovato a Firenze: «Con la fiducia di tutti è tornato quello di prima».
Anche se suo procuratore, Francesco Romano, lima il concetto intervenendo a Radio Kiss Kiss: «Non siamo di fronte a un ritorno di Gilardino: Alberto non è mai andato via. Nonostante la sua giovane carriera è arrivato a circa cento gol nella massima serie e francamente non ricordo quanti attaccanti alla sua età abbiamo segnato così tanto. Nell'ultima stagione non ha segnato come negli scorsi anni, ma la qualità del giocatore non è assolutamente da mettere in discussione. Il feeling con Prandelli? E’ importantissimo».
Nel frattempo Amauri invia segnali per la Nazionale: «Il futuro è di Gilardino ma anche mio, ce la giocheremo». L’attaccante della Juve aspetta di ottenere la cittadinanza italiana, ma ormai sembra non avere più dubbi sulla maglia di quale nazionale indosserà. «Di Natale, Del Piero, Amauri: sarebbe bello», dice Amauri a Sky.
Il ct dell'Italia, Marcello Lippi, ci ha già parlato: «Mi ha detto che sapeva della pratica e che poi, una volta risolta, ci sarebbe stata una decisione da prendere». Amauri l'ha già presa: «È molto semplice nel mio caso: calcisticamente sono cresciuto in Italia, sono arrivato a 20 anni, ero uno sconosciuto e ho fatto tutta la mia carriera qui. L’inno? L'ho già cantato». Ma ora deve far parlare i gol, Gilardino l’ha già fatto.