BORGONOVO, Una storia con Firenze senza fine

Articolo a firma Carlo Pallavicino
09.09.2008 12:18 di  Redazione FV   vedi letture
Fonte: La Nazione
BORGONOVO, Una storia con Firenze senza fine
FirenzeViola.it

“Portami a casa” “Stefano, sei già a casa”, settembre di diciannove anni fa, ritiro di Milanello, venti chilometri di mobili e nebbie da Giussano, la città di Stefano Borgonovo che dall’altro capo del telefono si stava lamentando. Di cosa diavolo può lamentarsi il centravanti emergente del calcio italiano approdato al Milan di Sacchi, campione Intercontinentale, per vincere scudetti e Coppe dei Campioni? provai a domandarmi. “Gli schemi, Carlo. Con Sacchi, il centravanti non tira. Mai. Spalle alla porta. Sempre. E io quando segno?” “Ma ne hai appena fatti tre al Galatasaray?” “Ho fatto di testa mia, ma il “pelato” mica era contento alla fine.” Quindici mesi di procuratore, non un’idea ancora precisa su come funzionasse la psiche di un calciatore. Bevevo tutto. Solo più tardi avrei imparato che niente capita per caso. Dietro al lamento spesso c’è un’altra bizza da disinnescare con cura. La storia degli schemi suonava assurda. Sospirai, comunque, doverosamente afflitto e partecipe. Gli mancava Firenze, non volevo crederci. Sette mesi prima avevo preso Stefano in procura insieme a Branchini. Stefano era il centravanti della Fiorentina. Il Giuseppe Rossi di allora, per intendersi. Un bel colpo per un agente, il Colpo, per me: era il primo giocatore della Fiorentina. E’ probabile che avessi abbracciato quel mestiere ancora misterioso solo nella speranza di poter assistere un giorno un giocatore viola. Se da giornalista dovevo ogni volta fermarmi davanti all’ultima maniglia, adesso sconfinavo nell’intimità di spogliatoi, allenamenti, partite. Un’orgia di vigilie, pettegolezzi, primizie e trattative di mercato in rigorosa diretta. Il cielo con un dito. A terra pensò a riportarmi bruscamente un sabato pomeriggio Nardino Previdi, commerciante emiliano di suini nonché ds viola dell’epoca. Eravamo sulla veranda del Relais Certosa, ritiro viola: “Niente da fare. Galliani lo rivuole indietro.” scosse la testa appoggiata sul collo più largo che abbia mai visto. Borgo lì a un metro, silenzioso e rassegnato. Avevamo insistito anche noi con Galliani perché lo lasciasse un altro anno a Firenze. Borgo aveva chiesto così. Branchini per la verità era scettico, chi non lo sarebbe stato? Borgo però era in prestito secco dal Milan e non ci fu niente da fare. “Una volta a Milano avrai dimenticato tutto” lo rincuorai svogliatamente. Firenze, l’Antico Crespino e le sue catalane con l’astice dopo ogni doppietta così come le ottime focacce e gli improbabili spaghetti di Tarek l’egiziano in viale dei Mille dopo le sconfitte. E ancora le serate ad ascoltare le suppliche di Maurizio Niccolini oggi al settore giovanile viola, allora uno dei capi della curva: “Resta, Borgo, non te ne andare.” Pallidi ricordi di li a poco, pensai, il tempo di sollevare qualche coppa e Firenze sarà scordata.

Era stata una primavera viola, insolita e leggera, a tratti fantastica, quella appena trascorsa. Un’oasi nel lento crepuscolo Pontelliano. Dunga, Baggio, Eriksson, Borgonovo, ma anche giovani vivaci e ambiziosi come Carobbi, Landucci, Di Chiara, Davide Pellegrini. Gol, gioco, vittorie rocambolesche. Andammo in UEFA allo spareggio con la Roma, segnò Pruzzo, Borgo squalificato non volle guardare la partita in TV e girò in macchina per ore in una Firenze deserta aspettando il verdetto. Cosa sarà potuto fregargliene della UEFA? La B2, fresca di convocazione in Nazionale, era ormai dissolta con Borgo promesso al Milan da due mesi. Eriksson avrebbe lasciato il giorno dopo, mentre Baggio veniva promesso alla Juve per l’anno successivo. Era finita. Capii che la professione andava separata dai sentimenti: Borgonovo al Milan rappresentava nuovi guadagni e altre opportunità di lavoro. Dovevo convincermene e Borgo con me. Non so se ci ha mai provato, so che non ci riuscì. Borgo non entrò mai davvero nello spirito del Milan e quella telefonata di una sera di fine settembre avrebbe dovuto mettermi sull’avviso. Due mesi e Stefano si sarebbe infortunato al ginocchio. Pretese di operarsi a Firenze, villa Donatello, professor Aglietti. Sembrava impossibile trovargli un ospedale a Milano. Rientrò appena in tempo per portare il Milan in finale Champions con un gol e un rigore provocato nella doppia semifinale col Bayern. Il pensiero rivolto comunque alla Fiorentina. La mattina della partita era anche il giorno di Werder Brema-Fiorentina semifinale UEFA. Durante la colazione si levò una voce dal tavolo degli anziani: ”Povera Fiorentina, stasera i crucchi l’asfaltano”. Il Werder aveva quasi eliminato il Milan dalla Champions l’anno prima ed era una squadra temibile. “Non credo proprio, - si levò da un altro tavolo la voce piccata di Borgonovo. – si vede che non conosci la Fiorentina” “Ecco lui, gli tocchi la viola, gli si rizza il pelo.” “Scommettiamo un gelato?” sorrise Stefano al senatore della squadra. Finì poi 1-1, gol di Nappi, la foca viola, e Fiordilatte per Borgonovo pagato al bar di Milanello.



La stagione arrivò all’epilogo, Coppa dei Campioni, Coppa Intercontinentale e grande slam appena sfiorato per colpa della monetina di Alemao che consegnò lo scudetto al Napoli su un Milan giustamente furibondo. Non male come prima stagione in rossonero. Mezzo miliardo solo di premi.

Iniziò il mercato estivo e con quello lo stillicidio. Fino a sei telefonate al giorno, roba da Guinness nell’era pre-cellulare: “Novità?” “Nessuna, Borgo. Rassegnati, Sacchi è contento, vuole che resti.” Andò direttamente da Galliani, riuscì a convincerlo. “Vogliono nove miliardi, Pontello non può spenderli –dovetti informarlo il giorno successivo - A Firenze è un inferno, Baggio è andato alla Juve, Battistini all’Inter, anche Dunga è pronto a scappare. Ci sarebbe il Toro, assegno in bianco, Borgo, pensaci bene.” Avevo fatto dei progressi ma che magone. Ripetevo queste parole e pensavo: ma sono io quello che sta parlando? E’ proprio mia la voce che cerca di essere più convincente possibile per non farlo tornare? “Voglio la Fiorentina, possibile che non capisci?” Capivo, capivo anche troppo bene: Firenze, Firenze, l’ossessione sua, mia, di tutta la città orfana di Baggio. E come se non bastasse ci si metteva pure Chantal incinta da quattro mesi: “Alessandra deve nascere a Firenze, abbiamo comprata casa e metteremo su un negozio di antiquariato. E’ deciso.” Una sera di inizio luglio la svolta improvvisa, Mario Cecchi Gori che si collega al telefono con lo studio di Biscardi, Rai 3. Pochi istanti ed ecco la vocione del produttore cinematografico. La linea però è disturbata. “Mario puoi ripetere per favore?” “Ho appena comprato la Fiorentina e Borgonovo dal Milan, mi avete sentito?” Tutta Firenze aveva udito perfettamente, il figliol prodigo poteva tornare. Dodici ore, nemmeno, ed eccolo al Franchi. A casa sua. Proprio come stavolta, diciotto anni più tardi, per il terzo ritorno. Il più emozionante.