CORVINO, Ho rifiutato 30 mln per Jovetic
Questa la lunga intervista a Pantaleo Corvino concessa al Nuovo Quotidiano di Puglia. Qualche giorno di relax a casa, tra un bagno e un piatto di spaghetti alle cozze da Flavio, a Torre Specchia. Relax per modo di dire: Pantaleo Corvino ormai vive costantemente sotto pressione, tanto più in pieno mercato.
Ora è impegnato soprattutto nella trattativa per Insua del Liverpool: «Con gli inglesi siamo d’accordo - spiega - bisogna trovare l’intesa con il giocatore sull’ingaggio. Non possiamo garantirgli le cifre che prende al Liverpool».
È andato via Prandelli dopo cinque anni: per la Fiorentina inizia un ciclo nuovo?
«Nuovo non direi, vogliamo andare avanti sulla strada intrapresa. Negli ultimi quattro anni solo l’Inter ha fatto meglio di noi in Italia. In Europa abbiamo visto sfumare ai rigori una finale di Uefa e in Champions, quest’anno, ci hanno scippato i quarti di finale grazie ad un gol in fuorigioco (Bayern-Fiorentina, arbitro Ovrebo - ndr)».
Sarà la sua sesta stagione in viola. Un bilancio.
«Ho appena finito di elencare una serie di fatti, più eloquenti delle parole. Aggiungerei lo scudetto con gli Allievi, il mio nono titolo da responsabile di un settore giovanile dopo i successi a Casarano e Lecce».
A livello economico il suo lavoro che cosa ha prodotto?
«L’ultima annata si è chiusa con plusvalenze, vere non fasulle, per 33 milioni...».
La Fiorentina valorizza anche allenatori.
«Prandelli in Nazionale è un orgoglio per tutti noi, un motivo di prestigio per la società».
Nei mesi scorsi si era vociferato anche di un suo interessamento a De Canio per la panchina viola. Ci ha pensato davvero?
«No. Mai».
Perché Mihajlovic?
«Perché ha mentalità vincente, cultura del lavoro ed è un grande motivatore. Perché a noi questo serve, più di ogni altra cosa: un gruppo che sta insieme da cinque anni ha bisogno soprattutto di stimoli e Sinisa sa darli. Si potessero comprare, le motivazioni, sarei stato pronto a spendere 10 milioni. Invece bisogna trovarle dentro di sé, magari con l’aiuto di un tecnico capace».
In generale che mercato è questo?
«Il mercato ormai è circoscritto agli elementi di qualità. La Lega Pro è morta, la serie B è in agonia, in A possono muoversi in pochissimi e solo per un numero di giocatori assai ristretto, gli unici che meritino certe cifre. Il resto è poca cosa».
Lei intanto continua ad andare a caccia di talenti in erba...
«Ma sempre da accompagnare ad elementi d’esperienza. Questo principio ci consente di conciliare sia l’aspetto tecnico che quello economico. Quest’anno, alle spalle di Gilardino, come prima punta avremo Babacar, un ’93. E poi ci sono Agyei, Ljajic, lo stesso Jovetic è un ’89, De Silvestri un ’88. Per Jovetic mi hanno offerto 30 milioni ma ho rifiutato».
Perché contesta la riduzione del numero degli extracomunitari?
«Perché quello è razzismo, oltre che una mossa inutile, presa a caldo dopo il fallimento della spedizione in Sudafrica. Si riducono gli extracomunitari ma in teoria e in pratica una squadra potrebbe presentarsi con 18 giocatori comunitari ma non italiani. Che senso ha?».
Lei cosa avrebbe fatto?
«Tutt’al più si poteva imporre di schierare un numero minimo di italiani nella formazione. Così invece si crea solo un discrimine senza preoccuparsi del nocciolo della questione».
Che sarebbe?
«Cercare la qualità, rendere il nostro campionato migliore. È così che si cresce. Lo hanno capito da anni gli spagnoli dando agli africani lo status di comunitari. Ora la Spagna è campione d’Europa e del mondo. Noi invece ci accaniamo contro gli extracomunitari pensando di risolvere il problema».
Invece?
«Invece siamo indietro rispetto a tutti gli altri. Il ciclo d’oro dei francesi arrivò quando radunarono nel centro di Clairefontaine i migliori tecnici giovanili e i migliori talenti tra gli 11 e i 14 anni. La Germania, sorpresa in Sudafrica, in realtà è la logica conseguenza dei titoli europei Under 16, 18 e 20. E noi che facciamo? Agli Europei Under 19 siamo stati fatti fuori subito. È lì che bisogna lavorare, invece di prendersela con gli extracomunitari».
Lo dice anche pro domo sua: lei con gli extracomunitari va a nozze...
«Molti ritengono che il primo colpo sia stato portare Bojinov a Lecce. Sbagliato. Io avevo preso Berbatov a 17 anni, aveva pure fatto le visite mediche a Brescia. Berbatov poi andò al Borussia Dortmund, da lì al Tottenham per 18 milioni e poi al Manchester United per 43. In Italia la qualità non c’è, questa è la verità».
Con Berbatov ha introdotto l’argomento Lecce...
«Intanto voglio dire che sono molto contento per la nomina di Pierandrea a presidente. Gli ho subito mandato un messaggio con il mio “in bocca al lupo”. Sono convinto che il suo entusiasmo si tradurrà in energia per la società e per la squadra. Poi Pierandrea è una bella persona, è sincero, diretto, uno vero insomma. Gli auguro le migliori fortune».
Il Lecce oggi ha una struttura societaria diversa da quella che ha lasciato, non c’è più un direttore sportivo. Che ne pensa?
«Penso che sia sbagliato. È una scelta che non condivido, una società senza un direttore sportivo non funziona. Hanno voluto allargare il ruolo di De Canio ma è già tanto difficile far bene una cosa, figuriamoci due. Si parla tanto di modello inglese, di Fergusson eccetera ma pochi si accorgono che il Manchester United, a fronte di qualche bel risultato sportivo, ha 800 milioni di passivo ed è il club più indebitato al mondo».
Il Lecce segue Piatti.
«Bel giocatore, lo conosco. Andrebbe benissimo nel centrocampo a tre, meno in quello a quattro. È un centrocampista offensivo».
Dalla sua esperienza a Firenze è nata una grande passione per l’arte. Da questo punto di vista la sua Fiorentina che opera è?
«Piero Gilardi, arte povera. Bisogna avere la capacità di ridare vita a materiale usato, ci vuole ingegno, creatività».